Il sesso è una fatalità.
Oliviero Toscano.
Elvira aveva 60 anni.
Da 7 era vedova... e, da 3 mesi si comportava come una scolaretta alle prime armi: entrava e usciva da un negozio, che vendeva merce del tutto avulsa dalle sue necessità, per comprare, informarsi e valutare, con accuratezza certosina, le più astruse sciocchezze e i ninnoli più inutili.
Non poteva continuare così!
Non tanto perché ne soffriva la sua pensione, quanto per il fatto che, ormai, il suo comportamento bislacco si cominciava a notare.
Pure, quando il ragazzo era da solo, si trovava a suo agio e lui (magari la trovava ridicola) non faceva trasparire i suoi pensieri, anzi. Era talmente gentile, immediato, innocente, con quel suo sguardo azzurro, che la faceva sentire importante.
La sua dolcezza era come un cicchetto di grappa: a Elvira girava la testa e, per un attimo, dimenticava la differenza abissale che li divideva, peggio di un precipizio... una maledetta crepa che s'allargava, inesorabile, ogni giorno che passava.
A darle un colpetto odioso, invece, fu il sorrisetto ironico della commessa: la giovane aveva capito tutto. La troia, quando c'era, la osservava con condiscendenza malcelata. Tutto ciò non la feriva, lo riteneva normale, ma non sopportava l'idea che, quei due ridessero di lei, magari nel retrobottega, mentre, nell'ora di pausa, si scambiavano effusioni e carezze, intime e furtive.
Insomma: la sciacquetta trionfava sui suoi 60 anni, e di sicuro si godeva il suo collega; nessuna donna sana se lo sarebbe lasciato scappare... che rabbia le facevano quelle considerazioni, mentre sul faccino delicato, cercava di portare un sorrisetto placido, da nonnina appagata che si avvia tranquilla sul viale del tramonto
- Veramente, Fabio, avrei una richiesta un po' particolare... solo se si può, è naturale... - Elvira partì all'attacco, giusto per lo sfizio di far rodere il fegato all'altra donna. Usò il "tu" che si erano concessi qualche giorno prima, per trattare con intimità, Fabio... il suo giovanotto preferito.
- Vedi - continuò - ho una veranda a casa e mi sono innamorata del vostro mobiletto di rattan, ecco, quello appena dietro la vetrina... prima non c'era vero? E' in vendita? - Fabio rise e le spiegò dove l'avevano acquistato, ma per l'esposizione non per la vendita.
Ma Elvira questo l'aveva già intuito...
Il giovanotto fu gentile (e la "povera" Elvira non guidava) così, superando ogni aspettativa della signora, egli si dimostrò un gran signore; infine, e questo Elvira lo seppe solo dopo, la donna del negozio non era una commessa ma la proprietaria. Così ciò che avvenne raggiunse una notevole serie di scopi inaspettati... probabilmente la sua sessualità, più che matura, non sarebbe cambiata di una virgola ma, di sicuro, il suo orgoglio di donna ne usciva trionfante. In poche parole: Fabio si offrì di procurarle lo stesso mobiletto e di portarlo fino a casa sua.
Elvira sfoggiò, con un bel sorriso, tutto il "dolore" per aver arrecato tanto disturbo e, intanto, la donna del negozio schiumava, mentre Fabio accompagnava la vecchia alla porta benigno e rassicurante. Elvira andò via raggiante; al costo dell'inutile stipetto avrebbe aggiunto volentieri qualsiasi mancia... ne valeva la pena.
Si erano accordati per la domenica, nel primo pomeriggio, tra pochi giorni Fabio sarebbe stato a casa sua, non si faceva illusioni, non era il tipo, ma di certo si sarebbe goduta quella visita così speciale.
Maledetti imprevisti!
Alle 15 di domenica, puntuale, Fabio, in Jeans e maglietta attillati, arrivò, ma non recava con se un mobiletto, bensì un paio di scatole di cartone e persino la cassetta per i ferri.
- Sono stata una sciocca... mi perdoni; io non immaginavo... non posso rubarle altro tempo... e poi, di domenica... - disse Elvira, veramente imbarazzata. Effettivamente non si era resa conto che oggi, i mobili, li vendono così, in scatole di montaggio.
- Ma non ci davamo del tu? - rise mostrando la splendida dentatura. - A quest'ora io prendo sempre il caffè... e tu?
- Oh, sì... ma certo, figurati, farò il più buon caffè della mia vita! – promise lei allegra, contagiata dal giovane solare. Era raggiante, e mentre, correva in cucina, Elvira si sentì addosso 20 anni di meno, e magari li dimostrava, chissà?
Per fortuna aveva conservato un fisico asciutto. Da giovane era stata magra: una donna alta, elegante, apprezzata. Inoltre, per scaramanzia, il sabato si era recata in un centro estetico fuori mano, per chiedere operazioni dolorose, costose e segrete, che, all'estetista del suo coiffeur, non avrebbe mai osato chiedere.
Indossava una vestaglia semplice, coi bottoni, e sotto delle collant velate nere, tutto qui. Di sotto portava solo una canotta aderente, nera: il seno piccolo, una volta era il suo cruccio, adesso ringraziava il cielo, perché, anche con il solo sostegno del top, ancora non cascava giù. Aveva trovato il coraggio di abbondare col suo profumo, anche se adesso, con Fabio a pochi metri da lei, trepidava per la paura di mettersi in ridicolo.
Da un lato era euforica, dall'altro temeva di sbagliare a ogni gesto che compiva. Di una cosa sola era certa: con quel giovane non sarebbe mai successo niente di più... ma... in un angolo remoto e dolente della sua coscienza, una maledetta, stupida speranza, non voleva saperne di scomparire per lasciare il posto al necessario buonsenso.
Il pomeriggio volò via in fretta. Fabio sembrava del tutto a suo agio, smanettando tra pinze, cacciaviti e chiavini; lavorava comodo, prendendosi delle lunghe pause, per chiacchierare con la padrona di casa. Elvira si fingeva tranquilla, mostrando una disinvoltura che era ben lontana dal sentire. Ogni frase "spontanea" che le usciva di bocca era frutto di una costante e trepida autoanalisi.
"È giusto dire questo?"; "Posso nominare quel film... quella canzone? o mi farà sembrare più decrepita e ridicola di quanto già sono?"
E poi: "Si sta così bene con Fabio. Vorrei che questo pomeriggio non passasse mai!" E ancora: "Cosa diavolo mi sono messa in testa?"
Insomma Elvira, dopo anni di isolata e triste routine, si sentiva felice e, allo stesso tempo, frustrata, perchè tutto quel che desiderava non se lo poteva permettere. Non avrebbe mai creduto che essere vecchi avrebbe potuto comportare tanta passione, tanta indecisione e tanta, incontenibile, immaturità.
Ma il tempo passava e il ragazzo rimaneva padrone della situazione. Lui, almeno, sembrava godersela, senza porsi troppi freni e (Elvira ci fece ben caso) senza misurarsi assolutamente; Fabio la trattava come fossero stati coetanei, non ricercava le parole; non centellinava i pensieri: sciorinava le sue idee senza ritegno, l'unica cosa che non faceva assolutamente era provarci.
Alla fine le cose continuarono a scorrere, leggiadre e senza peso.
Fabio, sudato e imbrattato, chiese a Elvira se sarebbe stato troppo sperare di usufruire della sua doccia; Elvira chiese a Fabio se non gli sarebbe dispiaciuto trattenersi per cena.
Tutto facile, tutto amichevole, come in un sogno, felice e inatteso.
Il giovane insistette per la pizza, Elvira le ordinò. Alle otto erano a tavola, nell'accogliente, immacolata cucina.
Dal salotto, le note soffuse di una raccolta di musica soft. E, finalmente, dopo il primo calice di vino frizzate, Elvira (che era quasi astemia) si lasciò andare. Sprofondò in un piccolo paradiso rosa, dove il tempo non dominava più sullo spazio e l'amicizia, genuina e piacevole, non aveva età.
Aveva combattuto tutto il pomeriggio con la sua capacità di "fingersi" spontanea... adesso lo era veramente, e un possibile giudizio negativo, da parte di Fabio, non avrebbe avuto nessuna importanza, per quella sera, almeno.
Si sentì la sua amica del cuore: avrebbe persino potuto offenderla, non le sarebbe importato un fico secco. Stava bene, stop! Tutto il resto non le importava più... e pensare che in tutta la sua lunga e scontata esistenza, sensazioni così erano capitate talmente di rado che iniziava a dubitare di non essersi mai sentita tanto bene.
L'euforia si protrasse fino alle undici, quando Fabio dovette andare via: il giorno dopo lo attendeva il lavoro e quell'arpia, "purtroppo assai giovane", della proprietaria del negozio. Un guizzo di curiosità femminile attraversò il cuore dell'anziana signora, ma seppe tenerlo a bada e non chiese a Fabio se, magari, tra loro due ci fosse qualcosa di più di un rapporto di lavoro, ma si trattenne.
Niente di speciale accadde tra i due, però Fabio, prima di uscire, quando la porta di casa era ancora chiusa e i due erano nella penombra, salutò Elvira con un abbraccio affettuoso e virile, poi, mentre continuava a stringerla a sé, le baciò il collo e le guance, premendo con le labbra tumide e facendo impazzire il cuore della donna.
Fabio uscì senza aggiungere nulla e socchiuse la porta sul suo sorriso... Elvira arrossì quando il giovane era già andato via, con la testa che le girava non volle fare niente, quella sera. Corse a buttarsi sul suo lettone e si masturbò con ferocia, come non le capitava da tanto; se ne venne tra le dita, smaniando sul letto; approfittando ancora delle sensazioni che le aveva impresso sul corpo, il giovane Fabio: la forza delle sue braccia, il calore dei suoi baci innocenti e le tracce del suo profumo di uomo, che lentamente svaniva, da quella sua casa asettica e solitaria.
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